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Fondazione Familiare Giorgio La Pira
«Abbattere ovunque i muri e costruire ovunque i ponti... questa è la sola inevitabile prospettiva politica dell'età spaziale e atomica»

Scritti e testimonianze

Una selezione di scritti, chiaramente funzionale alla conoscenza degli anni siciliani di Giorgio La Pira

 


 

“QUEL SABATO SENZA TRAMONTO”

Dopo la festa dei Santi, nel vespero del sabato 5 novembre, il cuore di Giorgio La Pira si è fermato. Da Firenze ‑ la « perla del mondo », come egli diceva – la notizia è corsa verso tutte le direzioni, sulle strade che egli aveva apostolicamente percorse col suo fuoco e col suo candore e da tutte le parti del mondo si è levato un pensiero di gratitudine per lui, uomo della speranza e dell'ottimismo cristiano. La notizia ha visitato nel profondo anche la gente della Sicilia, della comunità diocesana di Noto, della natìa cittadina di Pozzallo, e ha ridestato in tutti, insieme al pianto, la gioia per una così singolare esistenza sbocciata nel Mediterraneo, per il miracolo di una creatura vivida e lievitante come Giorgio La Pira.
La notizia sì è trasformata in un pungolo interiore per ciascuno di noi che lo abbiamo conosciuto da vicino senza mai abituarci a lui, data la sua quotidiana novità, l'imprevedibilità, la creatività spirituale del suo sorridente coraggio. Che ne faremo ora di un ricordo così pressante e dolce? Potremo mai continuare a vivere, per quel poco tempo che ci è assegnato, come se non avessimo avuto tra noi, con noi, innanzi a noi una « guida » luminosa ed esaltante come Giorgio La Pira?
Anche in piazza della Signoria, l’altra sera, 7 novembre, la folla degli amici venuti a salutarlo ha sentito di vivere la grande festa dell'incontro con lui; eravamo con gli occhi umidi e col sorriso sulle labbra: vivevamo l'evento del suo « precederci », capivamo che era vissuto guardando sempre a questo « sabato senza tramonto ». Abbiamo sperimentato un «funerale di letizia»: tutti, in un trasparente sentimento di trascendenza, abbiamo capito di esser nel suo giorno più bello, nella sua nuova nascita, nella pienezza della comunione dei Santi! Come dimenticare tale inusitata ”festa”che ha accomunato, a Firenze, la sua cara”povera gente” alle schiere dei politici, anche di quelli che lo hanno avversato; degli intellettuali, anche di quelli che dirigono l’intelligenza per vie agnostiche; degli operai, che portano i segni e la speranza di quest’epoca gemente, ma di irreversibile maturazione storica; dei giovani che non resistono al fascino del maestro innamorato della povertà; in un vincolo di solidarietà che quasi rendeva visibile l’invisibile!
È sta un’epifania, in cui ci è sembrato di toccar con mano la densità e la profondità dell’amore, di verificare la possibilità- solo che lo volessimo - di farci fecondare dalla Grazia e dall’avventura di Cristo, anziché immiserirne l’orizzonte con la nostra incoerenza e strumentalizzarne gli ideali con la nostra avidità di sopravvivenza quotidiana.
Nella “ piazza” che lo ha visto politico e che lo aveva sentito nei suoi originali comizi, teologici ed ecumenici prima che politici, ma anche validamente politici, in quanto cercavano il senso della gioiosa fatica della città terrena, l’immagine di Giorgio La Pira è tornata umile, lieta, profonda e vi si è stabilita per sempre.Chi lo aveva, anni fa, chiamato”piagnone”savonaroliano o penitenziale o medievale”fuori tempo” o mistico o utopista o in altro modo, oralo riconosce contemporaneo e attuale, precorritore, sognatore consapevole e concreto, sempre pulito, testimone ed operatore, e china il capo pensoso. E' davvero consolante che la Chiesa possa esser letta e capita subitamente in questo fenomeno cristiano che è stato Giorgio La Pira. Sempre nella trincea del rinnovamento, polemico e fraterno e filiale, ha amato sconfinatamente la Chiesa considerata non solo nella sua essenza trascendente ed immacolata, ma anche nelle sue giunture storiche ed umane, nella sua istituzionalità visibile e «gerarchica », nella sua continuità legata al tempo e perciò alle incertezze, alle defezioni, alle infedeltà. Appunto perché radicato nel profondo del Corpo Mistico e intessuto di preghiera, poteva avere il gesto della paziente attesa e della sapiente tolleranza, vivendo nell'agonia stessa della Chiesa posta nel tempo per riscattare il tempo. Per questo sorrise sempre e lottò ogni giorno; per questo la preghiera ‑ nella quale fu visto spesso immobile e quasi estatico - lo trasformava in realizzatore trasognato, ma concreto, operatore incontenibile, viaggiatore per la pace, messaggero di tempi nuovi, scrutatore delle stagioni storiche e del loro disegno biblico, nelle quali si celebra l'intreccio del piano di Dio col sillabare dell'uomo.
In questa torpida epoca che ancor risente degli esiti insidiosi e «mortali » dell'esistenzialismo (ne parlavo con lui, alcune volte, quando all'essere‑per‑la‑morte dei filosofi nichilisti, rispondevamo con l’essere‑per‑la‑Resurrezione!), la seminagione della speranza è l'avventura radiosa che dobbiamo ereditare dall'esempio di Giorgio La Pira, per amare e per disintossicare questo tempo che conosce conquiste strabilianti e smarrimenti abissali.
Quando un cristiano muore, è la morte che muore. Ringraziamo Dio d'averci dato un fratello che non muore più, che si insedia nelle nostre coscienze, per evitarne l'intorpidimento e la noia, che ci sfida ad esser cristiani e non giudici dei cristiani, ad essere anelanti come lui all'incontro col Padre, a scoprire il segreto e l'arte della povertà che fa vedere Dio «anzitempo » e che rende più ricca la presenza del Vangelo nel mondo.
Qualsiasi pagina si apra, degli scritti di La Pira, potrebbe essere adatta per concludere questo momento di comunione con lui. Apro un suo libro, «La vita interiore di don Luigi Moresco» (1945), e leggo: « Sì, fratello, tu puoi ora ineffabilmente gioire nell'amplesso immacolato dello sposo che viene (ecce sponsus venit); l'amore che prenderà di te definitivo possesso porta con sé un "gaudio sommo" ed una letizia inesprimibili: i cieli verginali di Dio ti attendono; le immacolate trasparenze e le intatte bellezze di Maria rapiscono nella gioia le tue pupille pure assetate di luce; gli angeli ed i santi ti sono già vicini per fare festevole ala al tuo passaggio. La vita è passata: pochi anni, un sogno; un sogno benedetto, ora il tempo è finito; la prova è superata; ora con passo lieve tu puoi entrare, attraversando la soglia festevole, negli splendori eterni di Dio ».

Angelo Scivoletto
Angelo Scivoletto, “Quel sabato senza tramonto” sul quotidiano La Sicilia, 19 Novembre 1977

 

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