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Fondazione Familiare Giorgio La Pira
«Abbattere ovunque i muri e costruire ovunque i ponti... questa è la sola inevitabile prospettiva politica dell'età spaziale e atomica»

Scritti e testimonianze

Una selezione di scritti, chiaramente funzionale alla conoscenza degli anni siciliani di Giorgio La Pira

 


 

Giorgio La Pira - Salvatore Quasimodo

Carteggio Miligi

La poesia di Quasimodo all’inizio fu per “Giorgetto” (l’adolescente “travagliato nello spirito ma sereno nella carne”, chino sui versi dell’amico in raccolta meditazione) sorgente di illuminazioni metafisico-esoteriche e stimolo di inquiete proiezioni nell’insondabile mistero della creazione artistica. [«Totò, è pure vero che solo ai poeti sia lecito di portare luce nei profondi dell’Essere (...) solo, a volte, nei tuoi più grandi accenti come nelle elevazioni dantesche e nelle terribili discese-elevazioni di Dostojevskij io ho trovato quella quiete unificatrice e divina onde si sostanzia l’essere umano nel suo significato più intimo ed inafferabile (...) mistero di parola, rivelazione di indicibile e il tuo Fanciullo Canuto».] Lo vide poi, interlocutore attivo, proporre una riflessione che individua una dimensione più propriamente cristiana nel linguaggio della poesia e pone una relazione diretta tra le illuminazioni dell’Arte e le risposte della Fede ritrovata. [«Voglio dirti una cosa: ho pensato che tu abbia un Dono sovrano: possieda cioè la favella della plebe: prima avevo vagato innanzi alle parole cave dei tuoi pezzenti (...) ora mi è venuto in mente che la plebe, la povera gente, i nobili del regno dei cieli, ha il linguaggio serafico (...) solo Gesù raccolse gli stracci dei mendicanti e ne fece regali mantelli (...) la plebe è ingenua e si modella secondo il Tuo Fanciullo che io ho sempre davanti come esempio di Eternità (...) sii plebe e quando sarai tale (...) avrai raggiunto il dono sublime di parlare al cuore dell’uomo».] Lo portò infine, più tardi, quando già aveva dato alla sua fede una ben precisa base dottrinale, a ribaltare le posizioni iniziali del loro rapporto: a porsi cioè, rispetto alla poesia dell’amico, non più in posizione di mero ascolto, ma di intervento attivo: di interrogazione e di proposta; [«Credo che se tu facessi degli studi teologici e liturgici, la tua poesia si arricchirebbe oltre ogni dire di tesori nuovi e di orientamenti più decisi (...) la Preghiera e la Meditazione potrebbero potenziare smisuratamente la tua forza creatrice (...) Se tu cantassi per pregare e pregassi cantando, chissà quali bellezze tu daresti all’anima nostra».] e ad affermare con forza: «Il verso racchiude in sé, quando è verso, un brano d’infinito: è un velame, un misterioso velame della verità divina. La poesia non è fatta per la terra: ha radice soltanto nel cielo» Da questa posizione Giorgio La Pira non si distaccherà più: la Poesia resterà sempre legata alla Verità (con la maiuscola): sarà, tomisticamente, “splendor Veritatis”. Aprendo nel giugno del ‘53 il Il Convegno Internazionale per la Pace e la Civiltà Cristiana da lui promosso nella sua qualità di sindaco di Firenze, dirà: «Il tema si svolgerà attorno a due poli che costituiscono le due ali ed i due vertici dell’intera città umana: preghiera e poesia». E affermerà nel corso dei lavori: «La preghiera e la poesia si collegano». L’assenso più caloroso lo darà alla relazione di Jean Daniélou che dice tra l’altro: «I veri poeti portano alla civiltà il senso del mistero dell’uomo (...) l’emozione di fronte all’abisso dell’anima umana».

(Tratto da Giuseppe Miligi (a cura) Giorgio La Pira-Salvatore Quasimodo. Carteggio, Artioli Editore, Modena 1998, p.6)

 

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